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Pacta Avvocati Associati

Tutela del patrimonio personale e familiare.

ASSEGNO DI DIVORZIO SECONDO IL TRIBUNALE DI MILANO (SENT. N.9726/18) ALLA LUCE DELLA SENTENZA DELLE SEZIONI UNITE DELLA CORTE DI CASSAZIONE 11 LUGLIO 2018, N. 18287.

Con la sentenza in esame il Tribunale di Milano ha accolto la domanda di assegno divorzile presentata dalla moglie a favore della quale, in sede di separazione, era stato riconosciuto un assegno di mantenimento.

La questione, sottesa alla decisione del Giudice milanese, riguarda l’annosa discussione circa l'analisi della situazione reddituale e patrimoniale dei coniugi al fine di decidere se in capo ad uno di essi sussista il diritto a percepire un assegno divorzile.

Tema, questo, di grande attualità alla luce delle recenti pronunce della Corte di Cassazione.

È noto, infatti, che fino al 2017, la giurisprudenza di legittimità ha attribuito all'assegno di divorzio natura prettamente assistenziale.

In ragione di ciò, il giudice era chiamato ad effettuare un accertamento comparativo della situazione economico-reddituale dei coniugi in relazione all'inadeguatezza dei mezzi di uno dei due. Inadeguatezza che doveva essere valutata tenendo conto del deterioramento delle condizioni economiche causato dal divorzio anche alla luce del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

Valutato ciò, il Giudice doveva poi procedere alla quantificazione dell'assegno divorzile.

Tale orientamento è stato completamente sovvertito dalla sentenza della Cassazione del 10 maggio 2017, n. 11504.

Con detta pronuncia la Corte ha stabilito che per avere diritto all’assegno di divorzio, il coniuge deve trovarsi nell’oggettiva impossibilità di  garantirsi un’esistenza libera e dignitosa a prescindere dal tenore di vita goduto durante il matrimonio.

Dalla primavera 2017 si sono, quindi, succedute diverse sentenze di merito che, applicando il principio dell'autosufficienza economica avulso dal parametro del tenore di vita avuto in costanza di matrimonio, hanno negato il diritto all'assegno al coniuge richiedente.

Ciò, fino alla pronuncia delle Sezioni Unite dell’11 luglio 2018, n. 18287 che ha introdotto un diverso orientamento al quale ha aderito il Tribunale di Milano con la sentenza in esame.

Questi, nel valutare la sussistenza del diritto all’assegno di divorzio, ritiene sia importante esaminare l'apporto dato dall'ex coniuge alla conduzione della vita familiare anche – si cita la sentenza – “in funzione del principio dell'autoresponsabilità che induce ad una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali in ordine alle quali si deve valutare se la disparità riscontrabile alla fine del rapporto coniugale sia frutto esclusivo o prevalente delle scelte adottate dai coniugi durante la loro vita familiare”.

I criteri, continua la sentenza, ai quali il giudice deve attenersi nel riconoscere o meno l’assegno sono quello perequativo-assitenziale (che impone di verificare l’eventuale squilibrio economico-reddituale tra le parti e l'assenza o insufficienza dei redditi del coniuge debole) e quello comparativo-compensativo (che impone di esaminare l’eventuale desequilibrio tra la condizione patrimoniale delle parti alla luce del contributo dato dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune e di quello dell'altra parte).

Sulla base di tali criteri, il Tribunale di Milano ha esaminato, quindi, il caso portato alla sua attenzione ove risultava che, da un punto di vista reddituale, la moglie era decisamente più debole del marito, ma da un punto di vista patrimoniale era comproprietaria di due immobili ed aveva ricavato una discreta somma dalla vendita di un terzo. Il marito, invece, era titolare del solo diritto di usufrutto su immobile.

Ciò posto, avuto riguardo al mero profilo assistenziale, emergeva che la moglie – si cita la sentenza – “versa in condizioni economicamente svantaggiate e sussiste una disparità evidente tra i redditi delle parti e tra le condizioni economiche complessivamente intese. Sotto il profilo composito (criterio cd. assistenziale-compensativo), deve ritenersi che le attuali condizioni reddituali deteriori della convenuta siano anche la conseguenza dei ruoli endo-familiari che hanno caratterizzato l'unione coniugale fra le parti, ruoli che si presume siano stati condivisi dal (omissis) o comunque accettati e della stessa vicenda matrimoniale (protrattasi per un tempo considerevole, essendo decorsi 15 anni dal matrimonio all'omologa del verbale di separazione). La (omissis) ha infatti smesso di lavorare dopo il matrimonio … pur avendo esperienze lavorative pregresse di buon livello, mentre il (omissis) si è pensionato poco dopo il matrimonio (circostanza non contestata dalla convenuta). Evidentemente il costituito nuovo nucleo familiare contava di vivere grazie al solo reddito pensionistico (elevato) del marito.”

In altri termini, nell'applicare il citato criterio assistenziale-perequativo- compensativo, il giudice milanese ha ritenuto che il progetto familiare dei coniugi prevedesse la creazione di un nucleo mono-reddito in cui la moglie non era necessario lavorasse concludendo, quindi, per il riconoscimento del diritto di quest’ultima a percepire l’assegno divorzile.


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